Francesco Totti nasce a Roma il 27 settembre 1976. Dimostra sin da piccolo grande confidenza con la sfera di cuoio. La sua prima squadra è la Fortitudo, scelta piccola società del quartiere San Giovanni, dove vive la famiglia. Dalla Fortitudo di Trillò, Francesco passa alla Smit Trastevere, alla corte di Pergolati e Paolucci.
Il ruolo occupato in campo è quello di centrocampista, scelta quasi obbligata per i mister che hanno la fortuna di allenarlo, data la classe "pulita" che il giovane esibisce con estrema disinvoltura. Poi, nel 1986, il passaggio alla Lodigiani, primo passo importante verso il calcio che conta.
Totti è allenato prima da Mastropietro e poi da Emidio Neroni, due figure importanti dal punto di vista calcistico per il ragazzo.
Dopo altre due stagioni, la famiglia Totti viene sottoposta al dilemma: la Lodigiani fa presente che Francesco fa gola sia alla Roma che alla Lazio.
Nessuna esitazione per i romanistissimi genitori: il giovane di Porta Metronia approda a Trigoria nel 1989, iniziando la sua carriera in giallorosso, partendo dalle giovanili.
Il talento naturale di Francesco spinge i tecnici di tutte le rappresentative a convocarlo spesso. Nella stessa stagione gli capita di disputare partite con gli Allievi Nazionali e la Primavera (stagione 1991-1992) o addirittura di essere decisivo per la conquista dello scudetto sempre con gli Allievi pur giocando titolare nella Primavera e trovando comunque il modo di esordire in serie A (stagione 1992-1993). Boskov, infatti, lo nota a Trigoria nelle partite durante l' allenamento contro la prima squadra e lo fa esordire in Serie A contro il Brescia nella vittoria per 2-0 del 28 marzo 1993.
Da quel momento il rapporto fra Totti e la prima squadra andrà sempre in crescendo, anche se nel frattempo continua l'esperienza anche nelle giovanili azzurre. Anche in Nazionale le soddisfazioni non mancano: fin dall' Under 15 di Corradini passando per le rappresentative allenate da Sergio Vatta, Francesco trova il modo di mettersi in luce, toccando in seguito l'apice della sua carriera in azzurro con la conquista del titolo europeo Under 21 con Cesare Maldini, battendo in finale la Spagna ai calci di rigore (31 maggio 1996).
Pochi mesi prima Totti aveva conosciuto il sapore di una convocazione nella Nazionale maggiore:Arrigo Sacchi lo aveva convocato per uno stage alla Borghesiana (febbraio 1996), regalandogli parole di grande stima e considerazione.
Tornando alla Roma, nel 1994 a Trigoria arriva Carletto Mazzone, uomo che lancerà definitivamente Francesco sul grande palcoscenico del calcio che conta e che per lui resterà sempre un punto di riferimento importante, un secondo padre a cui chiedere consiglio nei momenti difficili.
Il 4 settembre 1994 arriva il suo primo gol con la casacca dei "grandi": all'olimpico, davanti al pubblico del quale fino a pochi anni prima faceva parte, in veste di piccolo tifoso, segna contro il Foggia.
Forse è quello il vero inizio della favola dell'attuale numero dieci della Roma, favola che ha conosciuto anche momenti difficili come la scarsa considerazione di Carlos Bianchi, l'allenatore argentino che non lo "vedeva" (che lo stava per cedere alla Sampdoria), ma che ha trovato la sua più splendida continuazione nel biennio-Zeman: proprio il tecnico boemo, altra figura importantissima nella Totti story, valorizza al massimo il bagaglio tecnico del trequartista inserendolo a sinistra nel tridente di attacco. E' il boom: tutti, anche i più scettici, ammettono di trovarsi davanti ad un vero fenomeno del calcio internazionale e lui risponde a suon di gol e di premi vinti per le altissime medie voto mantenute su tutti i quotidiani per tutto l'arco del campionato.
Il resto è storia contemporanea.
Con l'arrivo di Fabio Capello la Roma ha conosciuto un'annata di transizione che ha coinvolto lo stesso Totti, peraltro vittima di un infortunio ad inizio stagione che ne ha pregiudicato il rendimento per alcuni mesi. Il capitano giallorosso, comunque, ha mantenuto un rendimento ben al di sopra degli standard del resto del campionato, confermandosi uomo assist e leader anche nei momenti più difficili.
La convocazione di Dino Zoff per Euro 2000 e la conquista di una maglia da titolare con gli azzurri confermano la stagione comunque positiva di Francesco. E infatti l'europeo giocato in Belgio e Olanda rappresenta per Francesco la definitiva consacrazione internazionale, dopo le splendide prove offerte soprattutto proprio contro il Belgio (suo il gol di testa che spiana la strada alla vittoria azzurra), contro la Romania (altro gol che sblocca il risultato) e in finale contro la Francia di Zidane.
Due momenti esaltanti dell'estate scorsa bei Paesi Bassi: il colpo di tacco che ha dato via all'azione per l'illusorio vantaggio azzurro di Delvecchio e soprattutto l'ormai leggendario rigore a cucchiaio tirato contro l'Olanda nella semifinale giocata all'Amsterdam Arena. Un gesto tecnico che ha strabiliato tutto il mondo.
La carriera di Francesco continua all'insegna dei successi con la squadra giallorosa: la conquista del terzo scudetto nella stagione 2000/2001 e le prodezze in Champions League. Anche in Nazionale entusiasma i tifosi e indossando la maglia numero 10 è il perno inamovibile dell'attacco azzurro.
Per capire quanto sia amato dal popolo giallorosso è sufficiente assistere, allo stadio olimpico di Roma, ad una delle pochissime occasioni in cui viene sostituito. Lo speaker Carlo Zampa ordina: "Popolo giallorosso, in piedi. Esce il capitano". E 70 mila persone compongono una fragorosa standing ovation.
Di lui Pele' ha detto: "Totti è uno dei più grandi artisti del calcio moderno".
Francesco è un ragazzo di grande sensibilità ed è spesso impegnato in opere di solidarietà e beneficenza. Un altro personalissimo record è stato quello di vendita (estate 2003) del "suo" libro "Tutte le barzellette su Totti (raccolte da me)", i cui proventi sono stati destinati all'Unicef e al servizio "Teleassistenza e Telesoccorso" del Comune di Roma.
Il 19 giugno 2005 Francesco Totti ha sposato la nota presentatrice tv (ex-letterina) Ilary Blasi: la cerimonia è stata seguita in diretta da Sky TG24 e i proventi derivati dell'esclusiva sono stati destinati dalla coppia per opere benefiche.
Dopo un infortunio che sembrava doverlo tenere a lungo lontano dai campi, Francesco compie un recupero straordinario in vista dei mondiali di Germania 2006; sebbene non brillerà il suo apporto sarà di fondamentale importanza per la storica conquista della coppa del mondo.
Luiz Nazario De Lima, in arte Ronaldo, è nato il 22 settembre del 1976 in un quartiere periferico di Rio de Janeiro chiamato Bento Ribeiro. Terzogenito di una famiglia dalle modeste risorse finanziarie, inizia a giocare a calcio fin dalla più tenera età, avendo davanti agli occhi i miti della nazionale brasiliana di allora, fa i quali spiccava Zico, divenuto per il giovane calciatore in breve tempo un vero e proprio idolo e un esempio da imitare.
Fattosi le ossa sui campetti di quartiere e avendo consumato le scarpe in assidue partitelle giocate sui marciapiedi della città, Ronaldo accede finalmente ad una vera squadra, seppur di calcetto, il Tennis Club Valqueire. L'allenatore, però, ancora ben lontano dall'intuirne le potenzialità, lascia il ragazzo in panchina e, quel che è ancora più grave, gli assegna il ruolo di portiere. Durante gli allenamenti, però, la vena geniale del campione comincia a farsi luce. Difficile sfuggire al fascino dei suoi palleggi e delle rapide incursioni palla al piede che Ronny è in grado di effettuare durante le innocue partitelle fra compagni di squadra, in cui ha modo anche di uscire dalla porta. Ben presto, quindi, comincia ad essere usato anche in attacco, naturalmente con ottimi risultati.
Così, tra una partita e l'altra, il suo nome comincia a farsi strada, seppur a livello amatoriale, finchè non giunge alle orecchie di un osservatore del Social Ramos, una squadra un poco più importante di quella in cui militava in quel momento. Ma si tratta ancora una volta di giocare al chiuso, in piccoli campi per dilettanti o in tornei "a sette". Certo, Ronny ha solo tredici anni ma il campo "a undici" non è assolutamente troppo grande per lui e lo dimostra presto, quando viene cioè chiamato dal Sao Cristovao, finalmente un club vero e proprio. Le aspettative non saranno deluse: l'anno successivo, infatti, diventa capocannoniere nel campionato del girone.
I procuratori del Brasile under 17 aguzzano subito gli occhi e raddrizzano le orecchie, fiutando nel giovane un piccolo talento in erba. E infatti si assicurano il suo "cartellino" per 7.500 dollari. Insomma, Ronny si ritaglia un posto al sole nella Nazionale giovanile, diventando un protagonista del campionato sudamericano in Colombia. I procuratori lo promuovono e gli trovano una collocazione migliore: al prezzo di 50.000 dollari, viene trasferito al Cruzeiro di Belo Horizonte. A soli diciassette anni, dunque, nel dicembre del '93, Ronaldo realizza il Grande Sogno: è convocato dalla nazionale maggiore, la leggendaria Selecao verdeoro. Il calcio inizia a diventare la sua professione, il Brasile comincia ad andare in fibrillazione per lui e in un batter d'occhi si ritrova tutti gli occhi della nazione puntati su di lui.
Nel 1994 viene convocato ai Mondiali, gli stessi che vedranno l'Italia sconfitta ai rigori proprio dai verdeoro. Finita in gloria la storia del Mondiale, inizia l'avventura europea, sbarcando prima al Psv Eindhoven (e diventando capocannoniere del campionato olandese), e poi all'Inter, grazie soprattutto alle sollecitazioni del presidente Massimo Moratti.
Già in Olanda però il campione aveva denunciato una serie di problemi al ginocchio. Dopo una serie di controlli, gli viene riscontrata un'apofisite tibiale che lo costringe ad un riposo forzato e che sarà fonte di forti disagi e di un notevole rallentamento della sua carriera.
Nel 1996, ad esempio, si giocavano le Olimpiadi di Atlanta, un evento che il giocatore rischiava di perdere proprio a causa del ginocchio. Si sottopone quindi ad estenuanti sedute di fisioterapia con quello che diventerà il suo terapista di fiducia, il dott. Petrone. Ripresosi dai dolori, affronta con coraggio le Olimpiadi, che comunque gli fruttano, grazie alle sue prestazioni, l'ingaggio al Barcellona. A quel tempo, tuttavia, anche l'Inter si era già interessato del "Fenomeno", ma poi la società aveva desistito a causa dell'eccessivo costo dell'ingaggio.
La cessione a Barcellona, a dirla tutta, avvenne comunque col consenso entusiasta di Ronaldo anche perché tornato nella sua squadra per affrontare la Coppa d'Olanda, ricevette dall'allenatore lo "sfregio" di esser lasciato in panchina. Conquista così il titolo di capocannoniere nel campionato spagnolo, vince la Coppa delle Coppe e, sulla base di promesse formulate in tempi non sospetti, attende un meritato aumento dell'ingaggio. Ciò non avviene e, con il numero dieci, Ronaldo finalmente approda all'Inter. Ed è proprio a Milano che i tifosi gli appioppano l'appellativo di "Fenomeno".
Sempre nella squadra milanese conquista la Scarpa d'Oro quale miglior bomber di tutti i campionati europei nel '97, poi il prestigioso Pallone d'Oro assegnatogli dalla rivista France Football e quindi ancora il Fifa World Player. Sul piano sentimentale, invece, i rotocalchi riportano tutti i particolari della sua love story con la modella Susana, presto ribattezzata "Ronaldinha". Dopo una stagione così straordinaria, c'è il Mondiale di Francia del '98 ad attendere il campione. E qui cominciano i seri problemi a cui Ronny è andato incontro negli anni successivi. Già durante il campionato mondiale lo si è visto un po' appannato, ma durante la finale è proprio irriconoscibile. Gioca male e in modo svogliato, non è incisivo nè inventivo. Al ritorno in Italia, poi, le telecamere lo inquadrano scendere la scaletta dell'aereo zoppicante e barcollante. E' palese che il Fenomeno si sente male e non è in gran forma, come poi avrà modo di confessare lui stesso davanti ai microfoni. Intanto, finisce anche la sua relazione con Susana e si fidanza con Milene.
All'Inter, inoltre, sbarca un nuovo allenatore, Marcello Lippi, con in quale si crea subito della ruggine. Basti dire nel debutto in campionato, Ronny è lasciato in panchina, con gran sconcerto di tifosi e appassionati. L'epilogo di questa serie di sventure è rappresentato dalla rottura del tendine rotuleo durante la partita Inter-Lecce del 21 novembre 1999. Si profila un'operazione a Parigi e almeno quattro mesi previsti per il ritorno in campo. Intanto, Ronaldo sposa Milene da cui aspetta un bambino. Rimessosi dall'incidente al tendine, per Ronaldo le sfortune non sono finite qui. E' solo l'aprile successivo quando, durante la partita tra Lazio e Inter, valida per la finale di Coppa Italia, pur entrando in campo per soli venti minuti come prescrivono i medici, subisce la rottura completa del tendine rotuleo del ginocchio destro. Il giorno dopo, Ronaldo è sottoposto ad una seconda operazione per ricostruire il tendine. Dopo altri due anni di sofferenze, terapie, false riprese e partenze, il Fenomeno torna a calcare i campi di calcio e a calzare i tacchetti, con grande gioia dei tifosi interisti. Ma non è tutto oro quello che luccica. In mezzo, ci sono ancora i campionati mondiali di Tokio e le sotterranee tensioni presenti nel club neroazzurro, tante e tali che, Ronaldo, in conclusione dell'avventura giapponese che lo ha visto trionfatore (il Brasile vinse il campionato), deciderà di abbandonare la squadra milanese a cui deve tanto per accettare un ingaggio dal Real Madrid, suscitando un gran polverone mediatico e la delusione di tantissimi tifosi.
Poi all'inizio del 2007, dopo una mezza stagione sotto la guida di Fabio Capello, dal quale non si sentiva considerato, Ronaldo firma per tornare a Milano; a volerlo sono Galliani e Berlusconi, per rinforzare l'attacco del Milan che da quando è rimasto orfano di Shevchenko ha perso mordente... e punti in classifica.
Il campione della Roma e della nazionale è nato a Pomigliano d'Arco, in provincia di Napoli, il 18 giugno 1974. Da alcune statistiche effettuate da giornali specializzati, è risultato il calciatore più "produttivo", in termini di goal, naturalmente, degli ultimi cinque anni. Le sue caratteristiche sono un'olimpica freddezza in area di rigore, che gli consente di andare quasi sempre a segno, e la velocità dei movimenti che spiazzano l'avversario.
Come tutti i calciatori che poi hanno intrapreso la carriera ai massimi livelli, anche Vincenzo Montella ha sentito la "vocazione" fin da piccolo anche se i primissimi esordi (si parla delle partitelle con gli amici), lo vedono nel ruolo di prtiere. Ancora doveva maturare in lui l'inclinazione al goal, forse per un fatto di timidezza. Irrequieto, sempre in movimento, fra i pali non si trova proprio a suo agio, sempre desideroso di intervenire nei punti caldi della partita. E' così che si inventa un ruolo di attaccante, abbandonando per sempre la porta. Le doti, comunque, si vedono subito. Gli amici sono sbalorditi dalle sue capacità e tutti lo vogliono in squadra, sorte che si ripeterà come in fotocopia, dieci anni più avanti nella ben più difficile serie professionistica.
Deciso dunque a tentare la squadra del calcio professionistico, a tredici anni si trasferisce ad Empoli per giocare nell'omonima squadra. Apparentemente le prospettive non sono rosee, e sicuramente la strada per la serie A sembra lunga e faticosamente impervia. Nell'Empoli però si afferma ben presto grazie alla tecnica eleborata in anni di "studio" e alla rapidità con cui irrompe nell'area di rigore, spesso risolvendo in questo modo le partite.
Nella città toscana, fra l'altro, incontra Rita, la sua futura moglie. Nel 1990-91 l'esordio in C1. Vincenzo si mette subito in luce, ma la frattura del perone e una successiva infezione virale lo fermano per quasi tutta la stagione 1992-93.
Il vero lancio per la sua carriera arriva l'anno dopo. In una stagione esaltante sotto tutti i punti di vista, Montella segna 17 reti. L'attenzione intorno a lui si fa concreta e sempre più vigile, tanto che squadre sempre più importanti cominciano a farsi vive. Una di queste è il Genoa, che lo acquista per la stagione successiva. Un altro gradino è stato superato, adesso Montella è in B. Fortunatamente, i risultati sono più che lusinghieri e il conteggio finale del totogol segna ben ventun reti in tutto il campionato.
Fra l'altro, è proprio in quell'anno che prende vita uno dei tratti distintivi del "personaggio" Montella, il simpatico e pittoresco "aeroplanino" che il goleador si mette a mimare correndo per il campo, volteggiano si direbbe, ogni volta che un suo tiro finisce in porta. Il "battezzo" di questa divertente pratica è registrata in un derby contro la Sampdoria, la stessa squadra che, ironia della sorte, lo contemplerà fra le sue fila l'anno successivo. Ed ecco la grande svolta: la Samp è promossa in serie A, l'occasione che Vincenzo aspettava da anni.
L'esordi nella massima divisione non si può definire altro che esplosivo. Chi temeva una sorta di timore reverenziale del giocatore "principiante" di fronte alla grandi squadre e al mito della serie A rimane deluso (favorevolmente impressionato, a seconda dei casi). Con ventidue reti segnate, si aggiudica infatti il titolo di vicecapocannoniere del massimo torneo, anche merito, è bene sottolinearlo, della sua spalla dell'epoca, l'altro campione che risponde al nome di Roberto Mancini. Dopo un esordio così folgorante, già si parla di Nazionale, sia nell'ambiente che fra i tifosi anche se lo stesso Montella ribadisce più volte di non sentirsi ancora pronto per una simile responsabilità.
L'ascesa del nuovo astro del calcio italiano prosegue luminosa. Nel campionato del 1997-98 segna venti reti, in media con il suo altissimo trend. A quel punto, le grandi squadre non possono più ignorarlo. Nella stagione del calciomercato le contrattazioni entrano in fibrillazione, con numerosi club intenti ad assicurarsi il colpaccio. Purtroppo all'inizio del campionato seguente si infortuna gravemente. Rientra a febbraio e segna dodici reti, ma non riesce ad impedire la retrocessione dei blucerchiati. Conquista comunque la maglia della Nazionale, con cui esordisce in un match contro il Galles.
A giugno l'aggressiva campagna acquisti della Roma ottiene ottimi risultati, fra cui quello di aggiudicarsi Montella. La Roma, infatti, era da parecchio che corteggiava il campione, soprattutto a causa di Zeman, convinto che il suo stile sarebbe stato perfetto nella rosa approntata. Al momento dell'effettivo inserimento, invece, Zeman ha già fatto le valige per altre destinazioni e il suo posto è stato preso da Fabio Capello che, in proposito, ha ben altre idee. Inizia una stagione difficile e conflittuale, fonte di notevoli scontenti per Montella. Le prestazioni sono ottime, i goal arrivano, ma Capello non vuol saperne di mantenere Montella titolare fisso. Per giocare gioca, ma è difficile che il mister lo tenga in campo per tutti e novanta i minuti. Ad ogni modo, a fine anno i gol sono comunque diciotto e Montella è il capocannoniere italiano del campionato.
A giugno 2000 la Roma compra Gabriel Omar Batistuta, altro campione indiscusso e celebre "macchina da goal" (tanto che i tifosi lo hanno soprannominato "Batigol"). Inevitabile che sorgano polemiche sui ruoli di entrambi, preferenze, discussioni e così via. Le decisioni del mister sono chiare: Montella gioca però viene escluso dalla formazione tipo. Capello preferisce schierare Marco Del Vecchio sulla fascia sinistra, Batigol al centro e dietro di loro Francesco Totti. Per Montella si comincia a parlare di cessione. Lo vorrebbe ancora Zeman al Napoli (un vero e proprio "chiodo fisso"!), ma il presidente della Roma Franco Sensi si oppone e fa di tutto per tenerlo. La fiduci è ben ripagata, stante i tredici goal messi a segno, malgrado giochi a smozzichi e bocconi. Quell'anno la Roma vince il campionato; un campionato dalle tinte ambigue per il Nostro, tirate le somme. La dolcezza della vittoria, arrivata anche grazie al suo contributo, è macchiata dalle tante domeniche passate in panchina.
Ad ogni modo, la Roma è la sua squadra e lui continua a farne parte anche negli anni successivi. Nella stagione del terzo scudetto romanista, gioca soprattutto in sostituzione di Batistuta. Quando a febbraio l'argentino si infortuna, Montella gioca e segna a ripetizione. Nella terzultima gara Capello lo esclude di nuovo. Entra nella ripresa con la Roma sotto di un gol ma, quando si dice che il Destino a volte ci mette proprio lo zampino, Montella segna con un pallonetto da antologia da venticinque metri. Rete fondamentale, a ben guardare, forse decisiva col senno di poi. A fronte di questi successi, baciato dalla fortuna e dal talento, sente però che il vaso della sua sopportazione è ormai ricolmo. Nell'occasione della prima conferenza stampa a cui prende parte, finalmente sputa il rospo e dichiara tutta la sua amarezza e la sua voglia di stare in campo come qualsiasi campione che si rispetti. Neanche a dirlo, contro il Napoli è ancora fuori, entrando solo negli ultimi dieci minuti. Logico che fosse un po' esasperato dalla situazione. E infatti, all'entrata degli spogliatoi "polemizza" con Capello (è un eufemismo) direttamente di fronte alle telecamere. Risultato: contro il Parma,a campionato ormai chiuso di fatto (quella era l'ultima partita), è in campo dal primo minuto. La sua personale vendetta? Il sigillo del due a zero che infligge agli avversari nel secondo tempo.
Amatissimo dai tifosi romanisti, che lo hanno eletto loro idolo insieme a pochi altri, Montella si è sempre caratterizzato per la schiettezza del carattere e i modi cristallini. Ironia della sorte, il suo compleanno cade proprio nello stesso giorno di quello di Capello.
La futura stella del calcio tedesco e mondiale Michael Ballack nasce il 26 settembre 1976 nella città di Gorlitz.
Inizia la sua carriera di calciatore al Chemnitzer; passa poi al Kaiserslautern e al Bayer Leverkusen. Con il Leverkusen è vero e proprio trascinatore e porta la squadra fino alla finale della Champions League 2002.
Il suo esordio esordio in nazionale, con la maglia numero 13, risale al 28 aprile 1999 (Germania - Scozia).
Ai Mondiali di Corea e Giappone del 2002 le prestazioni di Ballack sono eccellenti: contro tutti i pronostici trascina la squadra in finale. E' lui l'artefice della vittoria contro gli Stati Uniti ai quarti di finale e contro la Corea del Sud (che ha eliminato l'Italia) in semifinale. Proprio nella semifinale però arriva la grande delusione: a pochi minuti dal termine Ballack commette un fallo tattico e riceve un cartellino giallo che lo costringe a rinunciare alla finale contro il Brasile.
Sempre nel 2002 approda al Bayern Monaco: Karl-Heinz Rummenigge, dirigente del Bayern e campione dell'Inter negli anni '80, sottolineando il talento purissimo di Ballack arriverà a definirlo come il "centrocampista più prolifico al mondo".
Nei quattro anni di militanza al Bayern, Ballack guida la squadra alla vittoria di tre campionati e tre coppe di Germania. E' lui il pilastro di quella squadra, che completa in Germania per due volte consecutive l'accoppiata campionato e coppa.
Nel campionato 2004/05 non solo è stato fondamentale per la vittoria finale del Bayern; anche il suo alto rendimento ha ottenuto un riconoscimento prestigioso: il terzo titolo consecutivo di miglior giocatore dell'anno, solo uno in meno del "Kaiser" Franz Beckenbauer.
Prima della fine del campionato 2006, che precede i mondiali casalinghi, Ballack annuncia il suo passaggio in Inghilterra, al Chelsea.
Ballack cercherà di ritagliarsi un posto in un centrocampo già composto da grandi campioni quali Frank Lampard (Inghilterra), Claude Makelele (Francia) e Michael Essien (Ghana), tutti protagonisti attesissimi del mondiale tedesco che vede la Germania di Ballack tra le favorite alla conquista del titolo. La squadra padrona di casa uscirà in semifinale con l'Italia di Marcello Lippi, che diverrà campione del mondo contro la Francia.
Michael Ballack, 189 centimentri per 80 chilogrammi, è padre di tre bambini, Louis, Emilio e Jordi.
Luca Toni Varchetta Delle Cave nasce il 26 maggio 1977 a Pavullo nel Frignano, in provincia di Modena. Il padre Gianfranco è imbianchino, la madre Valeria bidella.
Dopo le prime esperienze nella squadra del Serramazzoni, la sua cittadina, passa al Modena. Luca Toni ricorda così quel periodo: "Andavo a scuola a Pavullo. Quindi un pullman al mattino per la scuola, poi lo riprendevo per tornare a casa e praticamente non mi fermavo neanche, prendevo la borsa e un panino da mangiare in viaggio e ancora in pullman verso Modena. Rientravo a casa per cena. Il calcio era il mio sogno. E i sogni si conquistano con i sacrifici".
La carriera di calciatore professionista inizia in serie C-1 con il Modena nel 1994. Realizza due reti in sette partite. Nella stagione successiva totalizza 5 reti in 25 presenze. Gioca poi con l'Empoli in serie B e con la squadra di Fiorenzuola in C1. L'anno successivo passa nella squadra laziale Lodigiani, dove segna 15 reti in 31 partite.
Nella stagione 1999-2000 milita nel Treviso in serie B: 15 gol in 35 partite. Da qui per Luca Toni si aprono le strade per la serie A; è il Vicenza a ingaggiarlo per la massima categoria. L'esordio in serie A avviene contro il Milan (che vince per 2-0); nella stagione siglerà 9 goal in 31 gare. Passa poi al Brescia, dove rimane due anni durante i quali ha modo di giocare al fianco di uno dei più grandi campioni italiani di sempre, Roberto Baggio, che a Brescia sta terminando la sua carriera. Con la rondinelle lombarde Toni segnerà 15 gol in 44 partite.
Nel 2003 viene acquistato dal Palermo; Toni è uno degli eroi dell'attesissima promozione in serie A dei rosanero: alla fine della stagione è capocannoniere della serie B (2003-2004), con 30 gol in 45 gare. La stagione seguente, in serie A con il Palermo, si riconferma come uno dei più importanti attaccanti italiani siglando 20 gol in 35 partite; il Palermo in due anni passa dalla serie B a disputare la coppa Uefa.
Nel 2005, con grande amarezza dei tifosi siciliani, Luca Toni viene ingaggiato dalla Fiorentina.
L'esordio di Luca Toni con la maglia della nazionale italiana avviene il 18 agosto 2004 nella partita contro l'Islanda, persa purtroppo per 2-0. Segna la sua prima rete azzurra in Italia-Norvegia (2-1) il 4 novembre dello stesso anno. Nel settembre 2005, in una delle gare di qualificazione ai Mondiali di calcio di Germania 2006, Toni segna una favolosa tripletta contro la Bielorussia (Minsk, risultato finale: 4-1 per l'Italia). In una successiva gara amichevole, giocata ad Amsterdam contro l'Olanda, Toni segna un gol per il quale riceve i complimenti di Marco Van Basten, allenatore olandese, nonchè ex attaccante dalle note doti superlative.
Nei primi mesi della stagione 2005-2006 della Serie A Toni ottiene risultati eccezionali: con la Fiorentina segna ben 21 reti nelle 21 gare del girone d'andata.
Il 9 aprile 2006 segna la sua 27ma rete in campionato (contro la capolista Juventus) conquistando il record assoluto di reti segnate in una stagione da un giocatore della Fiorentina, superando così Kurt Hamrin e Gabriel Batistuta, fermi a 26 reti.
Uno dei gesti che lo contraddistingue è quando, dopo ogni gol, esulta ruotando la mano vicino all'orecchio destro, come dovesse avvitare una lampadina, ma che in realtà include implicitamente il messaggio "Avete capito?".
Alto 193 centimetri per 88 chilogrammi, forte di testa, rapidissimo in area di rigore, Luca Toni è stato uno degli attesissimi protagonisti azzurri per i mondiali tedeschi del 2006. Ai quarti di finale segna 2 dei 3 gol che eliminano l'Ucraina. Anche se solo con due gol in totale (curiosamente come il difensore Marco Materazzi) Toni sarà il marcatore con più gol all'attivo della nazionale campione del mondo 2006.
Alla fine del mese di maggio 2007 diviene ufficiale la notizia che vede Luca Toni trasferirsi in Germania al Bayern Monaco. Con i tedeschi vince nel 2008 una Coppa di Germania contro il Borussia Dortmund (Toni segna una doppietta decisiva nella finale); diventa nello stesso anno anche campione di Germania, nonché capocannoniere della Bundesliga 2007/2008.
Gennaro Ivan Gattuso nasce a Corigliano Calabro (Cosenza) il 9 gennaio 1978. Respira aria di calcio fin dall'infanzia grazie a papà Franco che in gioventù aveva giocato a buon livello arrivando fino alla serie D. Compiuti i dodici anni Rino, dopo essere stato scartato dal Bologna, viene scelto dal Perugia; per lui c'è la gioia di essere stato scelto da una squadra professionista ma anche il dispiacere per lasciare la casa così presto rispetto ai suoi coetanei.
A Perugia gioca negli Allievi Regionali fino allo scudetto primavera vinto nel 1997: Gattuso viene eletto miglior giocatore di quell'anno. Fa il suo esordio nella nazionale italiana Under 18 nel campionato europeo. Arrivare poi l'esordio in serie A a soli 17 anni: è il 22 dicembre 1996 a Bologna.
Il suo talento viene apprezzato fino al di là della manica: accetta di trasferirsi in Scozia dove i Rangers di Glasgow gli offrono un contratto quadriennale. I primi mesi sono particolarmente difficili ma Rino Gattuso grazie alla sua grande forza e determinazione conquista la fiducia del tecnico Walter Smith che lo schiera immediatamente titolare in prima squadra. In breve diviene l'idolo di Ibrox Park, e proprio lì nello stadio scozzese inizia a farsi notare a livello internazionale.
A Glasgow conosce Monica, che diventerà sua moglie e gli darà due figli: Gabriela (nata nel 2004) e Francesco (nato nel 2007).
Nella stagione successiva i Rangers cambiano allenatore: Dick Advocaat vuole far giocare Gattuso come difensore così cominciano i contrasti con il tecnico. "Ringhio", così soprannominato per la sua tenacia costantemente dimostrata in campo, vuole cambiare squadra. Arrivano molte offerte da club della Premier League, ma la voglia di tornare in Italia è forte, così accetta di vestire i colori della Salernitana.
Intanto arriva a giocare nella nazionale Under 21: nonostante la propria ascesa e nonostante un campionato ben giocato, la Salernitana per un solo punto retrocede in serie B. Al giocatore sono interessati Milan e Roma: a Salerno lavora il team manager Ruben Buriani, ex giocatore e dirigente del Milan, il quale fa da tramite con Adriano Galliani per il trasferimento di Gennaro Gattuso a Milano.
La carriera di Rino con la maglia rossonera sarà in continua crescita: il quarto anno inizia con i preliminari di Champions League contro lo Slovan Liberec passando da Deportivo, Bayern e Real Madrid; fino alla semifinale con i cugini dell'Inter per arrivare alla magica notte di Manchester: 120 minuti di gioco contro la Juventus, poi i rigori che consegnano al Milan la Champions League.
Ottime le prestazioni in campionato: Gattuso diviene sempre più un trascinatore, per i compagni di sqiadra e per i tifosi. In particolare il rapporto con questi ultimi è speciale: è straordinario come il giocatore trae forza dall'incitamento e come sia altrettanto capace di incitare lui stesso il pubblico a sostenere la squadra.
Nel 2005 il Milan arriva alla finale di Champions ad Istanbul contro il Liverpool. Dopo un primo tempo perfetto in cui la squadra umilia i reds travolgendoli con tre reti, accade l'inimmaginabile: 8 minuti di distrazione e gli inglesi riescono nell'incredibile impresa di pareggiare le sorti dell'incontro. L'incontro termina fatalmente ai rigori che vedono il Liverpool campione. Sarà la più grande delusione della carriera di Gennaro.
Ma l'occasione di riscatto arriva il 23 maggio 2007 quando proprio contro il Liverpool, due anni dopo quella amara sconfitta, si aggiudica la sua seconda Champions League. Il 16 dicembre successivo si aggiudicato anche la Coppa del Mondo per club.
Il debutto nella nazionale maggiore avviene il 23 febbraio 2000 contro la Svezia, partita conclusasi 1-0 in favore dell'Italia. A 24 anni Gattuso prende parte alla sua prima grande manifestazione con la nazionale, i Mondiali 2002, dove colleziona due presenze.
Nella sfortunata spedizione azzurra degli Europei 2004 in Portogallo, Gattuso dà il suo contributo soltanto nella partita di apertura contro la Danimarca, partendo dalla panchina e subentrando a gara inoltrata, e nella seconda sfida contro la Svezia, nella quale viene ammonito, saltando così l'ultima sfida contro la Bulgaria. Diventa titolare e pedina inamovibile nella gestione del CT Marcello Lippi, che guiderà gli azzurri sul tetto del mondo ai mondiali del 2006.
Atleta prodigio, esordiente in Nazionale a soli diciannove anni, Gigi Buffon è nato il 28 gennaio del 1978. Durante la sua finora breve ma brillante carriera ha dato prova di avere un talento veramente fenomenale e oggi non sono pochi i commentatori che lo indicano come il portiere più forte portiere del pianeta.
Praticamente insuperabile tra i pali, grazie anche alla sua elevata statura, fa della prontezza di riflessi e della rapidità nelle uscite i suoi punti di forza.
Dopo tanti anni di militanza a Parma dove ha trovato l'ambiente ideale per crescere e sviluppare le sue grandi qualità, Gianluigi Buffon ha avuto l'opportunità di difendere la porta di una squadra dal passato ricco di storia e blasoni come la Juventus. Originario di Massa Carrara, l'estremo difensore è molto giovane ma ha già al suo attivo alcuni allori conquistati: campione d'Europa Under 21, una Coppa Uefa e una Coppa Italia con il Parma. Gli mancava lo scudetto che ha conquistato con la casacca bianconera al primo colpo per ripetersi poi l'anno successivo.
Con la nazionale ha perso il posto all'ultimo momento a causa di un infortunio alla vigilia degli Europei del 2000; ha poi convinto il CT Giovanni Trapattoni a restituirglielo.
Il 18 gennaio 2005 la Iffhs (Federazione Internazionale di Storia e Statistica del Calcio) ha incoronato per la seconda volta consecutiva Gigi Buffon "Miglior portiere del mondo".
E Gigi ha continuato a dimostrare di meritarsi il titolo, fino al suo successo personale più importante: la vittoria della coppa del mondo ai mondiali del 2006. Buffon nella manifestazione è stato un pilastro della squadra subendo solo due gol: uno su autorete (Zaccardo) e uno su rigore (Zidane) in finale.
Ronaldo de Assis Moreira, questo il nome di battesimo di Ronaldinho, calciatore brasiliano tra i più forti e noti del panorama mondiale. Nato il 21 marzo 1980 a Porto Alegre (Brasile), nel suo continente è conosciuto come Ronaldinho Gaúcho, mentre in Europa semplicemente come Ronaldinho. Il vezzeggiativo ("piccolo Ronaldo") in origine intendeva fare distinzione tra lui e l'altro asso brasiliano Ronaldo, di pochi anni più vecchio.
Inizia a giocare a beach soccer giovanissimo e più tardi passa ai campi in erba. Quando durante una partita locale, alla tenera età di 13 anni, segna 23 gol i media si accorgono delle potenzialità del fenomeno. La sua reputazione di calciatore cresce grazie ai suoi numerosi gol e alla dimostrazione di tecnica che porta il Brasile alla vittoria del campionato mondiale under-17 che si svolge in Egitto nel 1996-97.
La carriera professionistica inizia nella squadra brasiliana del Grêmio, quando alla guida c'è Luiz Felipe Scolari, futuro CT della nazionale brasiliana. Ronaldinho esordisce nella coppa Libertadores nel 1998. Solo un anno più tardi approda in nazionale. Esordisce con la maglia verdeoro il 26 giugno 1999, segnando il gol vittoria contro il Venezuela. Il Brazile vincerà poi la Coppa America.
Nel 2001 sono numerosi i club europei che vogliono portar via al Gremio il loro campione. Le squadre inglesi sembrano le più interessate e quelle più disposte a investire alte cifre. Ronaldinho firma tuttavia per 5 anni con i francesi del Paris Saint-Germain.
Nel 2002 Ronaldinho è tra i protagonisti del mondiale in Corea e Giappone che determina la vittoria del Brasile in finale contro la Germania (2-0). Nei quarti di finale suo è il gol che parte da oltre 35 metri e che stende l'Inghilterra.
Dopo il mondiale il valore di Ronaldinho a livello internazionale sale maggiormente. Nel 2003, dopo aver cercato di accaparrarsi il fuoricalsse inglese David Beckham, che invece finisce al Real Madrid, il Barcellona punta e ottiene l'ingaggio dell'asso brasiliano.
Al suo primo anno con il Barcellona Ronaldinho finisce secondo nella Liga spagnola (2003-2004). Vincerà il torneo l'anno seguente insieme ai suoi compagni blaugrana; campioni del calibro di Eto'o, Deco, Lionel Messi, Giuly e Larsson.
Nel giugno 2005 Ronaldinho guida il Brasile alla conquista della "Confederations Cup FIFA", dove viene anche proclamato "Man of the Match" nella finale vinta 4–1 sull'Argentina.
Una giornata storica è il 19 novembre 2005 quando Ronaldinho firma due incredibili gol del 3-0 che il Barcellona rifila agli storici rivali del Real Madrid, al Santiago Bernabeu a Madrid. Dopo il suo secondo gol (quello del 3-0), lo stadio, dove siedono numerosi tifosi del Real Madrid, concede a Ronaldinho una standing ovation. L'evento è rarissimo e solo Maradona, quando giocava nel Barcellona, ebbe l'onore di riceverlo prima di lui.
Umile, sempre sereno, Ronaldinho ogni volta che calca un terreno di gioco sembra impersonare lo spirito puro e infantile del gioco del calcio. Il suo costante sorriso dimostra il suo divertimento e il piacere che riceve da questo sport. Anche le sue parole, sucessive a un'astronomica offerta ricevuta dal Chelsea, lo confermano: "Sono felicissimo di stare al Barca. Non riesco a immaginarmi più felice in un'altra squadra. Non esistono abbastanza soldi per comprare la mia felicità".
Tra i suoi successi personali più importanti vi sono il premio come "Miglior giocatore dell'anno FIFA" per due anni consecutivi, 2004 e 2005 (succedendo al francese Zinedine Zidane) e il Pallone d'oro ("Miglior giocatore europeo") 2005 (succedendo all'ucraino Andriy Shevchenko). Pele' nel 2005 ha avuto modo di dichiarare "Ronaldinho è in questo momento il miglior giocatore al mondo, e indubbiamente quello che entusiasma di più i brasiliani". Ma Ronaldinho, nella sua grande umiltà che lo contraddistingue come uomo oltre che come calciatore, ha risposto: "Non mi sento nemmeno il migliore nel Barcellona".
Alla fine del 2005, insieme a Mauricio de Sousa, famoso fumettista brasiliano, Ronaldinho ha annunciato la creazione di un personaggio basato sulla sua immagine.
Dopo tre anni di corteggiamenti da parte del Milan, nell'estate del 2008 il fuoriclasse brasiliano viene acquistato dai rossoneri.
Maradona nasce il 30 ottobre 1960 nel quartiere disagiato di Villa Fiorito, nella periferia di Buenos Aires. Il calcio sin da bambino è il suo pane quotidiano: come tutti i ragazzini poveri della sua città passa gran parte del tempo per strada giocando a pallone o facendosi le ossa in campetti disastrati.
Sono i piccoli spazi in cui è costretto a giocare, fra macchine, passanti e quant'altro, che lo abitua a manovrare la palla in maniera magistrale.
Già idolatrato dai compagni di gioco per le sue doti mirabolanti, da subito gli viene appioppato il soprannome di "El pibe de oro" (il ragazzo d'oro), che gli rimarrà affibiato anche quando diverrà una celebrità. Preso atto del suo talento tenta la strada del calcio professionistico: la sua carriera inizia nell'"Argentinos Juniors", per poi proseguire nel "Boca Juniors", sempre in Argentina.
Le sue straordinarie capacità non potevano non essere notate e al pari del suo grande predecessore brasiliano Pele', a soli sedici anni è già precettato per giocare nella nazionale Argentina, bruciando in questo modo fulmineamente tutte le tappe. Menotti però, commissario tecnico argentino d'allora, non lo convoca per i mondiali del 1978 ritenendolo comunque troppo giovane per un'esperienza forte e importante come quella.
Il paese sembra non gradire più di tanto la scelta di Menotti: tutti pensano, stampa locale in testa, che invece Maradona sarebbe perfettamente in grado di giocare. Per parte sua, il Pibe de Oro si rivale vincendo i campionati giovanili per nazioni.
Da quel momento l'escalation del campioncino è inarrestabile. Dopo fulminanti prove in campionato, vola per i mondiali di Spagna 1982 dove dona luce ad una non eccezionale Argentina con due gol, anche se nei momenti chiave delle partite con Brasile e Italia, non riesce a brillare come dovrebbe, facendosi pure espellere. E' quasi un mito: l'unico calciatore diventato così popolare e così amato da eclissare quasi del tutto la stella del calcio per eccellenza, Pele'.
Successivamente l'ingaggio-record con il quale il Barcellona lo convince a lasciare il Boca Juniors è di sette miliardi di lire dell'epoca.
Purtroppo però con la squadra spagnola gioca solamente trentasei partite in due anni, a causa di un bruttissimo infortunio, il piú grave della sua carriera.
Andoni Goicoechea, difensore dell'Athletic Bilbao, gli frattura la caviglia sinistra e gli rompe il legamento.
L'avventura successiva è forse quella più importante della sua vita (mondiale a parte, si capisce): dopo numerose trattative approda alla città che lo eleggerà a suo portabandiera, che lo innalzerà a idolo e santo intoccabile: Napoli. Lo stesso Pibe de oro ha più volte affermato che quella è diventata la sua seconda patria dopo l'Argentina...
Il sacrificio della società fu notevole, non c'è che dire (una cifra colossale per l'epoca: tredici miliardi di lire), ma sarà uno sforzo ben ripagato dalle performance di Diego, capace di portare per ben due volte la squadra allo scudetto. Viene coniata una significativa canzone che mette a confronto i due miti, cantata a squarciagola dai tifosi che urlano "Maradona è meglio di Pelé".
Diego Armando Maradona tocca l'apice della carriera ai mondiali di Messico 1986. Trascina l'Argentina alla conquista della Coppa del Mondo, segna complessivamente cinque reti (e fornisce cinque assist), e sarà premiato quale miglior giocatore della rassegna. In più: nei quarti di finale con l'Inghilterra realizza la rete passata alla storia come quella della "mano di Dio", uno "sberleffo" che ancora oggi il calcio non ha dimenticato (Maradona segnò di testa "aiutandosi" a metterla dentro con la mano).
Dopo pochi minuti, invece, realizza il gol-capolavoro, quel "balletto" che lo vede partire da centrocampo, e dribblando mezza squadra avversaria, lo vede depositare la palla in rete. Un gol che è stato votato da una giuria di esperti come il più bello della storia del calcio!
Infine guida praticamente da solo l'Argentina fino al trionfo contro la Germania Ovest per 3-2 nella finale mondiale.
Da quel successo Maradona ha portato ai vertici del calcio europeo anche il Napoli: come detto, due scudetti vinti, una coppa Italia, una coppa Uefa e una Supercoppa italiana.
Poi venne Italia '90 e, quasi in contemporanea, il declino del campione idolatrato in tutto il mondo. L'Argentina in quel mondiale arriva sì in finale, ma perde contro la Germania per un rigore di Brehme. Maradona scoppia in lacrime, denunciando successivamente: "E' un complotto, ha vinto la mafia". Sono solo i primi segnali di un'instabilità emotiva e di una fragilità che nessuno sospetterebbe da un uomo come lui, abituato a rimanere sempre al centro dei riflettori.
Un anno più tardi (è il marzo 1991) viene scoperto positivo a un controllo antidoping, con la conseguenza che viene squalificato per quindici mesi.
Lo scandalo lo travolge, fiumi di inchiostro vengono spesi per analizzare il suo caso. Il declino sembra inarrestabile; si presenta un problema dietro l'altro. Non basta il doping, entra in scena anche il "demone bianco", la cocaina, di cui Diego, a quanto riportano le cronache, è un assiduo consumatore. Infine emergono gravi problemi con il fisco, a cui si affianca la grana di un secondo figlio mai riconosciuto.
Quando la storia del campione sembra avviarsi a una triste conclusione, ecco l'ultimo colpo di coda, la convocazione per USA '94, a cui si deve uno strepitoso gol alla Grecia. I tifosi, il mondo, sperano che il campione sia finalmente uscito dal suo oscuro tunnel, che torni ad essere quello di prima, invece viene nuovamente fermato per uso di efedrina, sostanza proibita dalla FIFA. L'Argentina è sotto choc, la squadra perde motivazione e grinta e viene eliminata. Maradona, incapace di difendersi, grida a un ennesimo complotto contro di lui.
Nell' ottobre del 1994 Diego viene ingaggiato come allenatore dal Deportivo Mandiyù, ma la sua nuova esperienza finisce dopo solo due mesi. Nel 1995 allena la squadra del Racing, ma dà le dimissioni dopo quattro mesi. Poi torna a giocare per il Boca Juniors e i tifosi organizzano una grande e indimenticabile festa allo stadio della Bombonera per il suo ritorno. Rimane al Boca fino al 1997 quando, nel mese di agosto, viene trovato nuovamente positivo ad un controllo antidoping. Nel giorno del suo trentasettesimo compleanno, el Pibe de oro annuncia il suo ritiro dal calcio.
Conclusa la sua carriera calcistica Diego Armando Maradona sembra aver avuto qualche problema di "assestamento" e di immagine: abituato ad essere idolatrato dalle folle e amato da tutti, sembra che non si sia ripreso all'idea che la sua carriera fosse finita e che quindi i giornali non avrebbero più parlato di lui. Se non parlano più di lui dal punto di vista calcistico, però lo fanno nelle cronache dove Diego, per una cosa per l'altra (qualche apparizione televisiva, qualche improvvisa rissa con gli invadenti giornalisti che lo seguono ovunque), continua a far parlare di sé.
Premi in carriera:
1978: Capocannoniere del Campionato Metropolitano.
1979: Capocannoniere del Campionato Metropolitano.
1979: Capocannoniere del Campionato Nazionale.
1979: Campione del Mondo juniores con la nazionale argentina.
1979: "Olimpia de Oro" al Miglior calciatore argentino dell'anno.
1979: Scelto dalla FIFA come Miglior Calciatore dell'anno in Sudamerica.
1979: Ottiene il Pallone d'Oro come Miglior Calciatore del momento.
1980: Capocannoniere del Campionato Metropolitano.
1980: Capocannoniere del Campionato Nazionale.
1980: Scelto dalla FIFA come Miglior Calciatore dell'anno in Sudamerica.
1981: Capocannoniere del Campionato Nazionale.
1981: Riceve il Trofeo Gandulla come Miglior Calciatore dell'anno.
1981: Campione di Argentina con il Boca Juniors.
1983: Vince la Coppa del Re con il Barcellona.
1985: Viene nominato ambasciatore dell'UNICEF.
1986: Campione del Mondo con la nazionale argentina.
1986: Vince il secondo "Olimpia de Oro" al Miglior calciatore argentino dell'anno.
1986: E' dichiarato "Cittadino Illustre" della Città di Buenos Aires.
1986: Ottiene la Scarpa d'Oro consegnata dalla Adidas al miglior calciatore dell'anno.
1986: Ottiene la Penna d'Oro come miglior calciatore in Europa.
1987: Campione d'Italia con il Napoli.
1987: Vince la Coppa Italia con il Napoli.
1988: Capocannoniere della Serie A con il Napoli.
1989: Vince la Coppa UEFA con il Napoli.
1990: Campione d'Italia con il Napoli.
1990: Ottiene il Premio Konex di Brillante per la sua abilità sportiva.
1990: Secondo posto nella Coppa del Mondo.
1990: Nominato Ambasciatore dello Sport dal Presidente dell'Argentina.
1990: Vince la Supercoppa Italiana con il Napoli.
1993: Premiato come Miglior Calciatore Argentino di tutti i tempi.
1993: Vince la Coppa Artemio Franchi con la nazionale argentina.
1995: Ottiene il Pallone d'Oro alla carriera.
1995: Premiato come "Maestro Ispiratore di Sogni" dall'Università di Oxford.
1999: "Olimpia de Platino" al Miglior Calciatore del secolo.
1999: Riceve dalla AFA il premio come miglior sportivo del secolo in Argentina.
1999: Il suo slalom del 1986 contro l'Inghilterra è scelto come miglior gol della storia del calcio.
Tutti lo conoscono come Batigol: un nome, una garanzia. Nato il giorno 1 febbraio 1969 a Reconquista, Santa Fe, Gabriel Omar Batistuta è straordinario calciatore, grande sul campo come nella vita, alieno da qualsiasi forma di protagonismo, esordisce nella serie A argentina nel club del Newell's nella stagione 1988/89, dove si rivela ancora un cucciolo in crescita: in sedici partite segna solo quattro gol, una media decisamente destinata a crescere.
L'anno seguente passa al River Plate: la stagione è da annoverare come sfortunata, contrassegnata da poche presenze (appena sette nell'arco di tutto il campionato) e da altri quattro gol. Gabriel però, consapevole del suo valore, scalpita. Ma anche chi lo ha osservato attentamente al di là del conteggio burocratico dei numeri sa che la sua è una bomba destinata ad esplodere. E a farne le spese non potranno che essere gli avversari che se lo troveranno sul cammino.
Così, quando passa al Boca Junior nel 1990, quella suonata da Batistuta è tutta un'altra musica: molto dolorosa per le orecchie degli avversari che si vedono infilare tredici gol in ventinove partite. Il campioncino ha solo vent'anni ma il pubblico, fino a quel momento un po' sonnacchioso e distratto nei suoi confronti, comincia ad accorgersi di lui. Con buon intuito la Nazionale lo vuole immediatamente fra i suoi ranghi.
Galvanizzato Batistuta ricambia con un'infilata di gol memorabile che porta l'Argentina a vincere la Coppa America nel 1991: è proprio Gabriel a salire sul podio di capocannoniere.
Inizia per il calciatore argentino l'avventura italiana. I club di casa nostra, sempre con le antenne alzate, è un po' che lo curano, ma alla fine è la Fiorentina che riesce ad aggiudicarselo per cinque miliardi delle vecchie lire. Il primo anno gioca ventisette partite andando a segno tredici volte, fra l'altro senza l'ausilio di rigori o punizioni; nonostante i grandi risultati personali la Fiorentina non ce la fa e scivola, con gran sorpresa di tutti, in serie B.
La delusione è grande, il morale rischia di volare rasoterra e anche la voglia di andarsene può fare capolino fra un pensiero e l'altro. Invece l'argentino decide di rimanere a Firenze e di contribuire a risollevare le sorti della squadra. Gabriel non è infatti uomo che ragiona per calcolo o egoismi personali, ma che sceglie in base al cuore, al sentimento, e alla serietà degli impegni assunti.
Grazie a lui ed alla sua grande intesa con Francesco "Ciccio" Baiano riesce nell'intento: nel 1994 la Fiorentina torna finalmente a testa alta nella massima categoria.
Fa ancora meglio nella stagione 1994/95 quando riesce a segnare consecutivamente per le prime undici partite, per poi aggiudicarsi la classifica capocannonieri con un totale di ventisei reti.
È solo l'assaggio di quella che sarà la stagione 1995-96, la più ricca di soddisfazioni: la Fiorentina finisce il campionato al terzo posto, conquista un posto in Europa e il 18 maggio a Bergamo contro l'Atalanta, Batistuta regala ai tifosi la Coppa Italia. Quattro mesi dopo a San Siro, contro il Milan, l'argentino stupisce l'Italia annichilendo i rossoneri con una strepitosa doppietta, l'obolo giusto per portarsi a casa la Supercoppa di Lega.
Naturale che a fronte di questi successi e dell'amore che questo campione ha sempre dimostrato verso la città toscana, fra lui e i tifosi si sia creato un rapporto davvero speciale, anche se non sono mancati momenti grigi e incomprensioni. A Firenze si chiaccherava un po' troppo intorno alla sua vita privata, incrinando inevitabilmente la tranquillità del già sensibile Gabriel.
La tensione sfocia nell'urlo a squarciagola in occasione del gol segnato appunto a Milano nella finale di Supercoppa di Lega e dedicato alla moglie (chi non ricorda Gabriel che si getta dopo il gol sotto le telecamere gridando "Irina te amo"?).
I successi di Batigol si sono poi succeduti negli anni con una serie memorabile di reti, contrassegnati da una regolarità impressionante. Se c'è Gabriel in campo si può star sicuri che quella palla prima o poi infilerà la porta per insaccarsi in rete.
L'idillio si è in parte incrinato solo nel febbraio del 1999 quando durante Fiorentina-Milan Gabriel ha subito l'infortunio più grave della sua carriera che lo ha costretto a stare fermo per più di un mese.
Il suo recupero comunque è stato a tempo di record. L'assenza del capitano ha condizionato sensibilmente la Fiorentina, privata del suo leader, che perde la guida del campionato a favore della Lazio, senza riuscire più a riconquistarla.
Clamoroso è stato il suo passaggio alla Roma nell'estate del 2000; successivamente è stato acquistato dai nerazzurri dell'Inter. Oggi Batigol è impegnato in Qatar.
Un ultimo dato: con la Nazionale ha superato la soglia dei duecento gol!
Roberto Baggio, uno dei più grandi campioni che l'Italia abbia avuto, uno dei più noti a livello mondiale, nasce il 18 febbraio 1967 a Caldogno, in provincia di Vicenza.
E' un ragazzino quando il padre tenta di trasmettergli l'amore per il ciclismo. Ma Roberto giocava a calcio e lo faceva già con grande fantasia, tecnica ed estro. Inizia a giocare nella squadra della sua città. All'età di 15 anni passa al Vicenza, in serie C. Non ancora maggiorenne, nella stagione 1984/85, segna 12 reti in 29 partite e aiuta la squadra a passare in serie B. Alla serie A non sfugge il talento di Roberto Baggio: viene ingaggaiato dalla Fiorentina.
Esordisce nella massima serie il 21 settembre 1986 contro la Sampdoria. Il suo primo gol arriva il 10 maggio 1987, contro il Napoli. L'esordio in nazionale risale al 16 novembre 1988, contro l'Olanda. Rimane con la Fiorentina fino al 1990, diventando sempre più il simbolo di un'intera città calcistica. Come è prevedibile il distacco è traumatico, soprattutto per i tifosi toscani, che vedono volare il propro beniamino a Torino, dagli odiati nemici della Juventus.
Arriva poi l'appuntamento importantissimo dei mondiali casalinghi di Italia '90. Sono queste le notti magiche di Totò Schillaci e Gianluca Vialli. Roberto Baggio inizia il suo primo mondiale in panchina; nella terza gara il CT Azeglio Vicini fa entrare Baggio per farlo giocare in coppia con lo scatenatissimo Schillaci. Contro la Cecoslovacchia segna una rete memorabile. L'Italia grazie anche ai gol di Baggio arriva in semifinale dove trova l'Argentina del temutissimo Diego Armando Maradona, che eliminerà gli azzurri ai calci di rigore.
Con la Juventus Baggio segna 78 reti in cinque campionati. Sono questi gli anni in cui raggiunge l'apice della sua carriera. Nel 1993 vince il prestigiosissimo Pallone d'Oro, nel 1994 il premio FIFA World Player. Con la maglia bianconera vince uno scudetto, una coppa Uefa e una coppa Italia.
Sulla panchina che guida gli azzurri ai mondiali USA '94 siede Arrigo Sacchi. Baggio è attesissimo e non delude. Sebbene i rapporti con l'allenatore non siano felici, gioca 7 partite segnando 5 reti, tutte importantissime. L'Italia arriva in finale dove trova il Brasile. La partita finisce in pareggio e ancora una volta il risultato viene affidato alla lotteria dei rigori. Baggio, uno degli eroi di quest'avventura mondiale, è l'ultimo a dover tirare: il suo tiro finisce sopra la traversa. La coppa è del Brasile.
La Juventus decide di puntare sul promettente giovane Alessandro Del Piero e Baggio viene ceduto al Milan. Gioca solo due stagioni in rossonero, dove viene considerato solo un sostituto. Fabio Capello non riesce a inserirlo nei suoi schemi e anche se alla fine vincerà lo scudetto, il contributo di Baggio al Milan sembrerà trascurabile.
Baggio accetta così l'offerta che arriva da Bologna. Si ritrova a giocare con i rossoblu per l'inconsueto (per lui) obiettivo della salvezza; tuttavia il Bologna gioca un ottimo campionato e Baggio sembra tornato superlativo. Ancora una volta vive una poco serena situazione con il suo allenatore di turno, Renzo Ulivieri, per guadagnare un posto da titolare. Baggio minaccia di andarsene ma la società riesce a mettere d'accordo i due. Arriverà a segnare 22 reti in 30 partite, il suo record personale. Il Bologna si salva con disinvoltura e Roberto Baggio viene convocato per il suo terzo mondiale.
Ai mondiali di Francia '98 Baggio è considerato riserva del fantasista Alessandro Del Piero che però delude le aspettative. Baggio gioca 4 partite e segna 2 reti. L'Italia arriva fino ai quarti dove viene eliminata dalla Francia che poi vincerà il prestigioso torneo.
Il presidente Massimo Moratti, da sempre appassionato estimatore di Roberto Baggio, gli offre di giocare nell'Inter. Per Baggio è una grande possibilità di rimanere in Italia e giocare di nuovo ai massimi livelli. I risultati sono però altalenanti. In Champions League, a Milano, Baggio segna al Real Madrid permettendo all'Inter di passare il turno. Ma pochi giorni dopo la qualificazione il tecnico Gigi Simoni, con cui Baggio ha un ottimo rapporto, viene sostituito. La stagione volgerà verso un tracollo.
Il secondo anno di Baggio con l'Inter è segnato dai difficili rapporti con il nuovo tecnico Marcello Lippi. I due si ritrovano dopo l'avventura juventina, ma Lippi esclude Baggio dai titolari. Ancora una volta si ritrova a partire dalla panchina. Nonostante ciò, appena ha la possibilità di giocare dimostra tutto il suo talento, segnando reti decisive.
I rapporti con Marcello Lippi però non migliorano. Scaduto il contratto con l'Inter, Baggio accetta l'offerta del neopromosso Brescia. Con questa maglia, sotto la guida del veterano allenatore Carlo Mazzone, Roberto Baggio arriva a siglare la sua rete numero 200 in serie A, entrando con grande merito nell'olimpo dei goleador, insieme a nomi storici quali Silvio Piola, Gunnar Nordhal, Giuseppe Meazza e José Altafini. Chiude la sua carriera con il Brescia il 16 maggio 2004; al suo attivo vi sono 205 reti in serie A e 27 reti in 56 partite giocate con la maglia della nazionale.
Devoto buddhista dai tempi di Firenze, soprannominato "Divin Codino", ha inoltre scritto un'autobiografia: "Una porta nel cielo", pubblicata nel 2001, dove racconta il superamento dei periodi difficili, come è tornato più forte in seguito ai gravi infortuni, e dove approfondisce i suoi difficili rapporti con i passati allenatori, ma anche elogiando le doti di altri tra cui Giovanni Trapattoni, Carlo Mazzone e Gigi Simoni.
Nato il 26 giugno 1968 a Milano, Paolo Maldini è una delle colonne portanti del Milan, pilastro irrinunciabile, bandiera della squadra milanese che sotto la sua protezione, ha conquistato, fra coppe e scudetti, i più importanti traguardi calcistici pensabili per un club.
Vero e proprio figlio d'arte, il padre è il famoso Cesare (famoso anche per una memorabile caricatura che gli ha dedicato il comico Teo Teocoli), ex commisario tecnico della Nazionale italiana. Ma non solo. Cesare Maldini ha anche un glorioso passato alla spalle, essendo stato, tra gli anni 50 e 60, anch'egli grande difensore rossonero, conquistando quattro scudetti, una Coppa dei Campioni e una Coppa Latina.
Paolo dunque non poteva trovare esempio migliore e terreno più proficuo per coltivare il suo talento. Talento che ha dimostrato ampiamente, addirittura superando il pur brillante genitore.
Debutta a soli sedici anni in Serie A con il Milan, nel lontano 20 gennaio 1985, in una partita con l'Udinese finita in pareggio (1 a 1). A lanciarlo è lo "scorbutico" Nils Liedholm, un uomo del Nord, apparentemente freddo, che però sa vedere a fondo nel cuore degli uomini che ha a disposizione. E di Maldini Liedholm capisce subito il temperamento e la generosità nonché la già straordinaria correttezza in campo, una caratteristica poi mantenuta nel tempo, che ne fanno un campione anche come uomo.
Nelle partite successive il bel Paolo (gradito dal pubblico femminile), confermò ampiamente le sue qualità, dimostrando di non essere un fenomeno passeggero o pompato e spazzando via, in questo modo, le malelingue, le inevitabili invidie di chi lo vedeva solo un figlio d'arte e -in quanto tale- raccomandato.
Con la maglia del Milan ha vinto ogni tipo di trofeo. Ha giocato più di 400 partite in serie A. Ma c'è un altro il record che lo consegna alla storia del calcio nazionale. Avendo debuttato in nazionale a soli diciannove anni, è il giocatore con più presenze azzurre in assoluto, avendo superato il primato di Dino Zoff, prima del sorpasso ritenuto inattaccabile. Anche se, a dire il vero, la Nazionale gli ha riservato tanti piazzamenti d'onore ma nessun titolo mondiale (a differenza di Zoff che vinse in Spagna nel 1982).
Paolo Maldini è considerato dai massimi esperti di calcio come un giocatore veramente completo: alto, potente, veloce, buon colpitore di testa sia nella sua area che in quella avversaria, efficace nel tackle e con preciso tocco ambidestro. Perfetto nei recuperi difensivi.
Emblematica l'espressione di Fabio Capello che, sollecitato da un giornalista a formulare un giudizio sul difensore rossonero disse: "Maldini? E' semplicemente il miglior difensore del mondo".
Carriera: Milan (dal 1985).
Palmares:
7 scudetti (1988, 1992, 1993, 1994, 1996, 1999, 2004)
5 coppe campioni / champions league (1989, 1990, 1994, 2003, 2007)
1 coppa Italia (2003)
4 supercoppe italiane (1989, 1992, 1993, 1994)
3 supercoppe europee (1989, 1990, 1994)
3 coppe Intercontinentali (1989, 1990, 2007)
Paolo Di Canio nasce a Roma il 9 luglio 1968. Trascorre l'infanzia nel quartiere romano del Quarticciolo, zona periferica e popolare di Roma, dove la maggior parte degli abitanti è di fede romanista.
Fin da ragazzino Di Canio è ribelle ed anticonformista e lo dimostra scegliendo di tifare per la Lazio, nonostante in famiglia siano quasi tutti tiosi romanisti.
Dopo aver giocato per squadre minori della capitale, all'età di 14 anni entra a far parte delle giovanili della Lazio. E' uno dei giocatori più promettenti del vivaio biancoceleste ma anche molto irrequieto e difficile da gestire sul campo. Il sabato pomeriggio gioca e di notte parte con gli "Irriducibili", uno dei gruppi ultrà più duri di tutto il tifo laziale, per trasferte in ogni angolo d'Italia. In futuro anche con fama, soldi e successo non ripudierà quest'esperienza.
Nel 1986 vince il campionato primavera con la Lazio e la stagione successiva è ceduto in prestito alla Ternana in serie C2. Colleziona 27 presenze e 2 reti. Nella città umbra conosce Elisabetta che sposerà alcuni anni dopo.
Al rientro da Terni è pronto per far parte della prima squadra della Lazio ma un infortunio al tendine lo tiene fuori per l'intera stagione 1987/1988.
Finiti i malanni Paolo Di Canio si rilancia diventando titolare della Lazio neo promossa in Serie A. Debutta il 9 ottobre 1988 ed entra negli annali della storia laziale grazie alla rete decisiva nel derby con la Roma del 15 gennaio 1989. Le buone prestazioni permettono a Di Canio di entrare a far parte della Nazionale Under 21.
Nell'estate del 1990 la Lazio per fare cassa - contro la volontà del giocatore - è costretta a cedere Di Canio. Passa alla Juventus dei vari Baggio, Hassler, Ravanelli e Vialli. Per Di Canio c'è poco spazio e non riesce a trovare un buon feeling con l'allenatore Trapattoni.
Dopo aver vinto la Coppa Uefa (1993), litiga l'estate successiva con l'allenatore di Cusano Milanino e per questo viene ceduto in prestito al Napoli. Con gli eredi di Maradona, Di Canio ha la possibilità di giocare con continuità e sfogare il suo talento. Colleziona 26 presenze e 5 reti che lo portano ad essere eletto nella Squadra dell'Anno della Serie A.
Nonostante la buona stagione non ne vuole sapere di tornare alla Juventus e viene ceduto al Milan. Totalizza con i rossoneri 37 presenze e 6 reti in due stagioni, dorate da uno scudetto (1996) e da una Supercoppa Europea.
Di Canio arriva allo scontro fisico anche con Fabio Capello: nell'estate del 1996 emigra in Gran Bretagna, in Scozia, al Celtic Glasgow.
In una sola stagione diventa un idolo del calcio scozzese fino ad essere votato giocatore dell'anno.
Nell'estate del 1997 a seguito di contrasti con la dirigenza lascia la Scozia per trasferirsi in Inghilterra allo Sheffield Wednesday. Anche in Inghilterra viene votato giocatore dell'anno e insieme a Gianfranco Zola diventa alfiere del calcio italiano d'Oltremanica.
Il 26 settembre 1998 accade un episodio incredibile. Di Canio protesta contro l'arbitro Paul Alcock e, spingendolo, lo manda a terra. Per questo gesto rimedia undici giornate di squalifica e i media inglesi così come l'opinione pubblica sono tutti contro di lui.
Lo Sheffield scarica Di Canio per poche sterline al West Ham United nel gennaio 1999. Con la maglia della squadra londinese Paolo vive una seconda giovinezza. Ben presto diventa un idolo degli "hammers" e vince il titolo di capocannoniere nel 1999/2000.
Sempre nel 2000 riceve dalla Fifa il premio "Fair play", per la correttezza e la sportività dimostrata sul campo. C'è episodio simbolo di questo successo: durante un'azione di attacco il portiere avversario è infortunato e giace per terra, Di Canio anzichè approfittare della situazione evita di segnare a porta vuota e ferma il gioco di sua iniziativa richiamando l'attenzione del direttore di gara.
Nell'autunno del 2000 esce la sua autobiografia; nel libro, che riscuote da subito un buon successo, Di Canio racconta senza paure, pregi e difetti del calcio italiano, i difficili rapporti con gli allenatori, fino a parlare di politica e religione.
Nell'estate del 2003 passa al Charlton Athletic con un contratto annuale. E' il preludio di un ritorno alla Lazio che si concretizza nell'agosto del 2004. Alla presentazione sono presenti 5.000 tifosi laziali.
Di Canio ha problemi anche con l'allenatore Caso e l'avvento di Giuseppe Papadopulo è un toccasana. Al derby del 6 gennaio 2005 Di Canio segna un gol sotto la Curva Sud come 16 anni prima, ma è una delle poche soddisfazioni in una stagione problematica per la Lazio e l'attaccante romano spesso fuori per infortuni e scelte tecniche. In totale realizza 24 presenze e 6 gol.
Nel luglio 2005 pubblica il suo secondo libro: "Il ritorno: un anno vissuto pericolosamente", in cui racconta la stagione appena trascorsa.
In questo periodo la figura del "personaggio" Di Canio è sovente alla ribalta per il saluto romano che è solito rivolgere alla curva laziale. Il gesto ha suscitato diverse polemiche e ha fatto discutere per parecchio tempo in piazze, bar e studi televisivi. Squalificato per una giornata e punito con un'ammenda, per il bene della sua squadra e della società, Di Canio si è impegnato a non esibirsi più in gesti impropri, considerati (da qualcuno) da "demoni".
Al termine della stagione 2005-2006 la dirigenza della Lazio (nonostante la pressione del tifo organizzato), decide di non rinnovare il contratto al calciatore romano, il quale anziché appendere le scarpe al chiodo, firma un contratto annuale con la terza squadra della Capitale: la Cisco-Lodigiani in serie C2.
Gianluca Pessotto nasce a Latisana, in provincia di Udine, il giorno 11 agosto 1970. Inizia la sua carriera di calciatore nel capoluogo lombardo, nel vivaio del Milan. La sua esperienza successiva è a Varese, in serie C2, nella cui squadra cittadina disputa 30 partite; difensore, anche segna una rete in serie nella stagione 1989-1990.
Nel 1991 passa alla Massese e sale di categoria; totalizza 22 presenze e sigla un gol.
Gioca poi in Serie B con Bologna ed Hellas Verona.
Il suo esordio in serie A arriva il 4 settembre 1994 con il Torino (Torino- Inter: 0-2): gioca 32 partite, e segna un gol.
Senza cambiare città, l'anno successivo viene acquistato dalla Juventus, dove giocherà fino a fine carriera.
E' uno dei pochi calciatori italiani che militano nella massima serie ad aver conseguito una laurea.
Con la maglia bianconera vince 6 scudetti, nelle stagioni 1996/97, 1997/98, 2001/02, 2002/03, 2004/05, 2005/06. Vince inoltre una Champions League nel 1996, una Supercoppa Europea ed una Coppa Intercontinentale, sempre nel 1996, una Coppa Intertoto nel 1999 e tre Supercoppe di Lega italiana (1997, 2002 e 2003).
Fino al 2002 Gianluca Pessotto è una vera propria colonna della squadra: 173 centimetri per 72 Chilogrammi, è difensore di fascia, ambidestro, poliedrico, capace di giocare sia a destra che a sinistra, efficace in attacco, preziosissimo in fase di copertura. Poi purtroppo subisce un infortunio che lo costringe ad un lungo stop: sarà il francese Jonathan Zebina a ricoprire e affermarsi in questo ruolo.
Anche in nazionale il contributo di Pessotto è fondamentale per la sua qualità: indossa la maglia azzurra 22 volte, partecipando ai campionati mondiali del 1998 (in Francia) e agli europei del 2000 (Olanda e Belgio).
Nel 2001 ha ricevuto il premio "Sedia d'Oro 2001", come "più importante emigrante di successo del calcio friulano".
E' alla fine del 2005 che Pessotto annuncia il suo imminente ritiro dalle scene agonistiche, che avverrà alla fine della stagione, nel mese di maggio 2006.
Subito dopo il suo ritiro, in concomitanza con lo scandalo delle intercettazioni telefoniche che vede dimettersi tutti i vertici bianconeri - tra cui Moggi, Giraudo e Bettega - Gianluca Pessotto entra a far parte della nuova classe dirigente della società, in qualità di team manager. Il "pesso", soprannominato così da tifosi e compagni, nell'occasione ha avuto modo di dichiarare: "Sono molto felice per questa opportunità. E' un'occasione che mi permette di intraprendere una nuova carriera e, al tempo stesso, di restare a contatto con la squadra e quindi di poter assorbire meglio il distacco dal campo. Inizio questa avventura con grande entusiasmo e farò di tutto per essere all'altezza del nuovo ruolo".
Alla fine del mese di giugno subisce un grave incidente, a Torino, precipitando da una finestra proprio della società bianconera. Poco dopo si saprà essere stato un tentato suicidio. La solidarietà verso l'ex giocatore arriva da molte parti; non ultimo l'affetto dei giocatori della nazionale che, impegnati ai mondiali di Germania, mostrano in campo una bandiera con un messaggio dedicato a Gianluca.
Il fuoriclasse del pallone Luis Filipe Madeira Caeiro Figo nasce ad Almada, distretto operaio di Lisbona (Portogallo) il 4 novembre 1972. La prima squadra di calcio in cui gioca, è l'Os Pastilhas, squadra del suo quartiere. Poi, alla tenera età di 11 anni, grazie al suo talento viene accolto nella sezione dei giovanissimi della leggendaria squadra dello Sporting Lisbona. Il suo allenatore è Carlos Queiroz, che pochi anni più tardi guiderà la nazionale portoghese; Queiroz del giovane Figo ricorda: "Anche allora, Luis era avanti a tutti".
Nel 1989, sebbene ancora acerbo, il talento di Luis Figo è già ben chiaro: vola in Scozia con la nazionale portoghese Under 16 e guida i compagni alla conquista di un discreto terzo posto, ai campionati Mondiali FIFA di categoria. Passano solo due anni e vince i campionati mondiali Under 20 che si svolgono sul terreno di casa (1991). Il cuore di quella nazionale, composto da Rui Costa, Luis Figo e Joao Pinto, sarebbe poi cresciuto fino alla nazionale maggiore.
Figo debutta nel campionato di calcio portoghese all'età di 17 anni. Con lo Sporting Lisbona ottiene nel 1995 la vittoria della Coppa Portoghese, arrivando secondo in campionato. Subito dopo, nello stesso anno, viene acquistato dalla squadra spagnola FC Barcelona. In terra catalana ha la grande fortuna di conoscere ed essere allenato da alcuni dei più importanti nomi che la storia del calcio annoveri tra le sue pagine: l'olandese Johan Cruyff, l'inglese Bobby Robson e Louis van Gaal; Luis Figo, già cinque volte vincitore del premio portoghese "Calciatore dell'anno", in Spagna diventa una vera e propria star.
Con il Barcellona Figo è protagonista di numerose vittorie: una Supercoppa Spagnola nel 1996, due campionati di Lega (1998 e 1999), una "European Cup Winners Cup" (1997), una Supercoppa Europea (1997) e due "Coppe del Re" (1997 e 1998).
Luis Figo non smette di crescere: raggiunge l'apice della carriera con straordinarie performance ai campionati europei del 2000, che si svolgono in Belgio e Olanda. Figo, centrocampista con la vocazione del goal, è sia la testa che il cuore della nazionale portoghese, squadra che durante gli europei mostra uno dei reparti di attacco più belli e convincenti. Purtroppo l'avventura portoghese termina in semifinale, contro la Francia stellare di Zinedine Zidane, che vincerà il torneo.
Dopo Euro 2000, Figo passa alla squadra della capitale spagnola, il Real Madrid, per indossa con grande responsabilità il numero 10. Al suo primo anno vince il campionato spagnolo. Il modo di giocare di Figo diventa sempre più elegante ed efficace: i tifosi madrilisti adorano il campione portoghese. Jupp Heynckes, allenatore del Real Madrid, ha modo di dichiarare: "Luis è tecnicamente perfetto, si libera rapidamente dalle marcature e ha un grande dribbling. E' un gladiatore capace di attirare la folle allo stadio".
L'ex stella argentina Jorge Valdano, direttore tecnico del Real Madrid, è ugualmente estasiato dal portoghese: "Figo ci abitua a vederlo giocare così brillantemente, che pensiamo stia giocando male quando in realtà sta solo giocando normalmente".
Poi il Real Madrid diviene una delle sqadre più invidiate del pianeta: oltre a Figo e lo spagnolo Raul, nel giro di pochi anni arrivano il brasiliano Ronaldo, il francese Zinedine Zidane, e l'inglese David Beckam. L'appellativo che la formazione si guadagna è "los galacticos".
Tra i premi più prestigiosi che ottiene vi sono l'"European Footballer of the year - Golden ball", di France Football, nel 2000 e il "FIFA World Player" del 2001.
Fuori dai campi di gioco Figo ama trascorrere una vita riservata, preferisce evitare i coinvolgimenti pubblicitari che inevitabilmente lo circondano. Nel tempo libero gli piace leggere, andare al cinema, ascoltare musica, cavalcare e giocare a golf. Nell'aprile del 2000, è stato pubblicato un libro che celebra il più famoso calciatore portoghese, dopo la leggenda di Eusebio. Il titolo è: "Figo - Nato per trionfare".
Poi Luis Figo, 180 centimetri per 75 chilogrammi, conoscitore di quattro lingue, all'apice della sua esperienza spagnola, coglie l'offerta e l'opportunità di volare in Italia. La squadra che se lo aggiudica è l'Inter. Con l'inter gioca dal 2005 e vince 2 volte la Coppa Italia, 2 volte la Supercoppa di Lega italiana e 2 scudetti.
Nasce a Marsiglia il 23 giugno 1972 ed esordisce nel campionato francese all'età di sedici anni (1988) nelle fila del Cannes: 185 centimetri per 80 chilogrammi di peso, Zinedine Zidane mostra già la sua classe e colleziona un discreto bottino fatto di 61 presenze e 6 gol. Nel 1992 passa al Bordeaux dove rimane per quattro stagioni realizzando 28 reti in 139 partite di campionato. Nel 1996 con i "Girondins" Zidane arriva a giocare la finale di Coppa Uefa.
E' il 1994 quando esordisce con la nazionale francese nella gara contro la Repubblica Ceca: entra nel secondo tempo e realizza due gol nel giro di soli 17 minuti.
Nel 1996 approda in Italia alla Juventus di Marcello Lippi, di cui diventerà il fulcro della fantasia a centrocampo: vince il campionato per due stagioni consecutive (1997 e 1998), una Supercoppa europea (1996) e una italiana (1997) e una Coppa Intercontinentale (1996), mentre perde due finali di Champions League contro Borussia Dortmund e Real Madrid.
Il 1998 vede Zidane salire sul tetto del mondo trascinando la Francia alla conquista del campionato mondiale nella finalissima del Saint-Denis contro il Brasile (3-0) di uno spento Ronaldo. Zidane giganteggia e stende i Carioca con due incursioni in area concluse con due colpi di testa, perfetti per potenza e scelta di tempo. E' il primo storico titolo mondiale dei francesi e la consacrazione planetaria del talento di 'Zizou'.
Lo stesso anno vince con grande merito il Pallone d'Oro e viene eletto miglior giocatore dell'anno dalla FIFA che gli assegna il "World Player of the Year award". Verrà nuovamente insignito di questo premio nel 2000 e nel 2003.
Grande visione di gioco, capacità di giocare dietro le punte e d'illuminare l'azione con assist e dribbling improvvisi, ottima progressione, Zidane è un giocatore completo. Inventa, regge il centrocampo e guida l'attacco.
Sia nella Juventus che in nazionale il suo nome segue come successore quello del grande "re" francese Michel Platini.
Nel 2000 continua la magia internazionale vincendo il campionato europeo in quella (per noi) triste e rocambolesca finale in cui l'Italia, in vantaggio di un gol, viene raggiunta quattro minuti dopo i tempi regolamentari, e relegata al secondo posto dalla nuova regola del Golden Goal (ad opera di David Trezeguet). Per la verità Zizou non gioca una partita da protagonista, ma conta poco, perchè rimane un grande campione che ha vinto tutto.
Nel 2001 passa dalla Juventus al Real Madrid per la cifra record di 150 miliardi di lire e un ingaggio annuo di oltre 12 miliardi per cinque anni. Le cifre e l'abbandono del calcio italiano suscitano qualche polemica. Gianni Agnelli commenta: "Zidane ci mancherà, ma era più divertente che utile". Con i bianconeri totalizza 28 gol (21 in campionato) in 191 partite.
A Madrid ci sono Figo e Raul, poi arriveranno Ronaldo (dall'Inter) e David Beckham a costruire una delle squadre più "stellari" che abbiano mai calcato un campo di calcio.
Nel 2004 l'Uefa, per festeggiare il proprio cinquantenario, ha invitato gli appassionati a votare i migliori giocatori degli ultimi 50 anni su una rosa di 250 candidati, e il 22 aprile l'eletto è stato proprio Zinedine Zidane.
La sua ultima partita con la nazionale è stata la finale dei mondiali di Germania 2006, vinta dall'Italia di Marcello Lippi: purtroppo per Zidane la carriera in nazionale è terminata nel peggiore dei modi, con un'espulsione conseguente ad un suo grave intervento scorretto nei confronti di Marco Materazzi, il quale nel finale della partita ha ricevuto da Zidane una testata in pieno petto. Nonostante questo episodio è il nome di Zinedine Zidane a comparire in testa alla classifica Fifa per il "miglior calciatore dei Mondiali di calcio 2006".
Il portiere polacco Jerzy Dudek nasce il 23 marzo 1973 nella città di Rybnik.
La sua carriera inizia con le squadre Concordia Knurow e Sokol Tychy (1995); dopo poco tempo passa alla più nota squadra del Feyenoord di Rotterdam. Durante il periodo olandese il suo nome diventa per tutti Jurek Dudek.
Il 31 agosto 2001 firma con il Liverpool, per rimpiazzare il portiere Sander Westerveld. In questo periodo è anche titolare indiscusso della squadra nazionale polacca. Il suo debutto internazionale con la Polonia avviene contro Israele, nel febbraio 1998.
Dai campionati mondiali del 2002 di Corea e Giappone, Dudek torna sofferente e stressato. Le sue cattive performance con il Liverpool nella Premier League inglese gli costano il posto da titolare. Riconquista il ruolo di prima scelta, per perderlo nuovamente quando al Liverpool arriva il giovane portiere spagnolo Jose Reina, classe 1982. Dudek conserva comunque la maglia con il numero 1.
187 centimetri per 78 chilogrammi, lo stile di Dudek è noto per essere piuttosto esibizionista e spesso esagerato. Questo è anche il motivo per cui probabilmente si è trovato a commettere parecchi errori. Ma per gli stessi motivi sarà anche ricordato nella grande storia della Champions League: il 25 maggio 2005 Dudek sarà uno degli eroi del Liverpool che alla fine conquisterà la prestigiosa coppa in una storica finale contro i rossoneri del Milan. Alla fine del primo tempo il 3-0 a favore degli italiani sembra rassicurarli su una vittoria certa. Ma la sorpresa è la bellezza dello sport, e il Liverpool in 45 minuti recupera lo svantaggio pareggiando 3-3.
Negli ultimi minuti dei tempi supplementari Jerzy Dudek si rende protagonista salvando la propria porta da un bellissimo tiro del campione ucraino Andriy Shevchenko, che se si fosse trasformato in gol, il Liverpool difficilmente avrebbe potuto recuperare.
La finale termina ai calci di rigore: Dudek salva la porta per ben due volte e il Liverpool porta in Inghilterra la coppa.
Forse molti ricorderanno (o forse sarebbe meglio dire, molti non si dimenticheranno) la pantomima di Dudek, prima di ogni rigore che doveva essere calciato dal Milan, che si realizzava in una varietà di movimenti scomposti e buffi, che avevano il chiaro obiettivo di distrarre e innervosire l'avversario di turno. Il giorno dopo questi movimenti sarebbero stati chiamati "Dudek Dance".
Nei giorni seguenti la vittoria, Dudek ha avuto modo di dichiarare che la scelta di provare a distrarre gli avversari con la sua "danza", proveniva dall'esempio del portiere Bruce Grobbelaar, ex Liverpool. Grobbelaar in passato fu eroe di un'altra finale di Coppa Campioni, quella del 1984, giocata e vinta ancora una volta contro una squadra italiana, la Roma di Ciccio Graziani, anche lui vittima delle distrazioni provocate dal portiere inglese.
Jerzy Dudek ha sposato la moglie Mirella nel 1996; nello stesso anno è nato il figlio Alexander.
Edison Arantes do Nascimento, meglio conosciuto come Pelè, è considerato insieme a Maradona il più grande giocatore di tutti i tempi.
Anche il padre, João Ramos do Nascimento, o Dondinho (come era conosciuto nel mondo del calcio), era un giocatore professionista. Era considerato uno dei migliori colpitori di testa dell'epoca. La madre Celeste, invece, si prese sempre cura di Pelé e di tutta la famiglia con grande affetto e dedizione. Da piccolo, Pelé si trasferì con la famiglia a Baurú, all'interno dello stato brasiliano di São Paulo, dove imparò l'arte del "futebol".
Nato il 23 ottobre del 1940 a Tres Coracoes in Brasile, Pelè ha segnato in carriera più di 1200 reti, stabilendo un record difficilmente attaccabile (in pratica, è quasi la media di un gol a partita). Inoltre, è l'unico giocatore ad aver vinto tre campionati del mondo (ne ha disputati in totale quattro) e precisamente: nel 1958, nel 1962 e nel 1970.
La storia di Pelè comincia nel 1956 quando fu notato Waldemar de Brito, che lo accompagnò a San Paolo del Brasile per un provino per il Santos. Debuttò tra i professionisti il 7 settembre 1956 con un gol che lo lanciò nella sua strabiliante carriera. L'anno successivo fu il momento del debutto in nazionale. Il fatto impressionante è che Pelè aveva allora solo sedici anni. Era il 7 luglio 1957 quando il selezionatore Sylvio Pirilo, lo convocò per la partita contro l'Argentina. Il Brasile fu sconfitto per 2- 1, ma Pelè fu l'autore dell'unico gol della sua nazionale.
Bisogna tenere presente che a quel tempo il Brasile era considerata soltanto la terza squadra del Sud America ma, nel 1958, la posizione del Brasile cambiò rapidamente, grazie alle brillanti prestazioni del campione diciassettenne, che si meritò ben presto il titolo di "O' Rei" ("Il re").
L'anno successivo ancora, il 1958, Pelè partecipò al suo primo mondiale disputato in Svezia, ed essendo il campionato del mondo la vetrina più importante nel panorama calcistico, tutti ebbero l'opportunità di conoscere questo campione, che contribuì oltretutto alla conquista della vittoria finale (5-2 contro la Svezia: Pelè fu l'autore di due reti). I giornali e i commentatori fecero a gara per appiopparli appellativi e nomignoli di ogni tipo, il più famoso dei quali è rimasto "La perla nera". La sua velocità straordinaria ed i suoi tiri infallibili lasciarono molti a bocca aperta. Bastava che passeggiasse sul campo, perché la folla si scatenasse in balli e gli dedicasse canti di giubilo.
La vittoria in Svezia rivelò insomma al mondo intero la grandiosità del gioco di Pelé e da li cominciarono i trionfi. Egli condusse per altre due volte il Brasile alla vittoria della Coppa del Mondo, rispettivamente nel 1962 contro la Cecoslovacchia e nel 1970 contro l'Italia. Nella sua carriera, Pelé ha segnato complessivamente 97 goal per il Brasile durante competizioni internazionali e ben 1088 militando nella squadra del Santos, che grazie a lui vinse nove campionati.
Giunse al campionato del mondo di Cile nel 1962. Questo doveva essere l'anno della consacrazione di Pelè, solo che sfortunatamente, nella seconda partita, contro la Cecoslovacchia, la Perla Nera s'infortunò e dovette abbandonare il torneo.
In seguito, ci furono i Campionati del mondo del 1966 in Inghilterra (che non si concluse brillantemente), e quello del Messico del 1970, che vide il Brasile ancora una volta in vetta alla classifica, a spese proprio dell'Italia, che fu sconfitta per 4-1, con contributo fondamentale di Pelè.
Dopo diciotto anni trascorsi nel Santos, Pelé nel 1975 passò alla squadra New York Cosmos. Durante i suoi tre anni a New York, Pelé ha portato il Cosmos alla vittoria del titolo North American Soccer League nel 1977. La sua presenza in una squadra americana ha fortemente contribuito alla diffusione e alla popolarità del calcio negli Stati Uniti. Pelé ha dato l'addio al calcio in un'emozionante partita svoltasi il 1 ottobre 1977, di fronte a 75.646 tifosi allo Giants Stadium, giocando il primo tempo tra le fila del Cosmos e il secondo tempo tra le fila della sua storica squadra, il Santos.
Dopo il suo ritiro dall'attività agonistica, Pelé ha continuato a dare il suo contributo al mondo del pallone. Sono stati realizzati ben cinque film sulla sua storia ed egli ha preso parte ad altri sei film, tra cui quello con Sylvester Stallone, "Victory." Pelé è anche l'autore di cinque libri, di cui uno è stato trasformato in film.
Ancora, il 1° gennaio 1995 Pelé è stato nominato ministro straordinario per lo Sport in Brasile, mettendo a disposizione del governo la propria professionalità e competenza per lo sviluppo del calcio. Si è dimesso dall'incarico nell'aprile 1998.
Fabio Cannavaro nasce a Napoli il 13 settembre 1973. Secondo di tre figli inizia subito a giocare al calcio e, alla tenera età di otto anni, entra nell'Italsider di Bagnoli, dopo avere speso, fino a quel momento, gran parte del suo tempo a scorazzare pallone al piede sui campetti in terra di Fuorigrotta.
Napoletano verace, entra nelle giovanili della formazione partenopea a undici anni, vince subito un trofeo (il campionato Allievi nel 1987), avendo così modo di crescere e maturare nella squadra per far emergere tutte le sue potenzialità.
L'adolescenza di Cannavaro coincide con il periodo d'oro del Napoli che, segnato soprattutto dall'arrivo del fuoriclasse argentino Diego Armando Maradona, domina il campionato italiano e non solo. Il Napoli, in quel periodo, vince davvero tutto quello che c'è da vincere.
Fabio, incaricato di fare il raccattapalle allo stadio San Paolo, ha la fortuna di seguire da vicino "El pibe de oro" e di osservare al meglio le giocate di quel grande. Ma oltre alla conoscenza ravvicinata col mito insuperato di tutti i calciatori, Cannavaro ha anche la fortuna di venire a contatto con un grande difensore, Ciro Ferrara, divenuto in breve tempo un modello da seguire e una persona da ammirare. Lo stesso Cannavaro ha dichiarato di aver imparato moltissimo da Ferrara, a cominciare dall'intervento in scivolata, un intervento sempre molto critico per un difensore e ad alto rischio di ammonizione. E' importante che tale intervento, infatti, sia "pulito" ed effettuato nel rispetto delle regole, senza alcuna intenzione di recare danno all'avversario. Suggerimenti importantissimi quelli di Ferrara, sempre seguiti da Fabio come esempio del giusto modo di intendere lo sport e il gioco.
Ma la storia a volte è capace di giocare scherzi veramente inattesi. Dopo tanti allenamenti e tante apprensioni su come diventare un buon difensore, Cannavaro ha modo di marcare, mentre ancora fa parte della Primavera, proprio il suo idolo, il grande Maradona. Qualche intervento eccessivamente duro sul "mostro sacro" gli costano il rimprovero di un dirigente azzurro. A prendere le difese di Cannavaro ci pensa però lo stesso "Pibe de Oro": "Bravo, va bene così" gli disse il grande campione argentino.
Esordisce dunque in serie A a soli vent'anni contro la Juventus, disputando una grande partita. Quando arriva in prima squadra (il 7 marzo 1993) Maradona è già lontano ed il Napoli si stringe proprio attorno al prodotto più prestigioso del proprio vivaio anche se i risultati inizialmente non sono entusiasmanti. Fabio, insieme a tutta la squadra, lotta per la salvezza, mettendo in luce le sue grandi doti esplosive, le stesse che faranno di lui il difensore più rapido e più incisivo della serie A. L'avventura al Napoli dura tre stagioni, poi, nell'estate del 1995, si trasferisce a Parma dove forma una fra le più importanti difese del mondo, insieme a Buffon e Thuram. Con questa retroguardia granitica i gialloblù vincono Coppa Italia, Coppa Uefa, Supercoppa Italiana e vanno vicinissimi allo scudetto nella stagione di Juan Sebastian Veron. In seguito, con la partenza di Lilian Thuram verso la Juventus, il Parma gli consegna la fascia di capitano. Dei gialloblù, da quel momento, è senza dubbio il leader assoluto.
Di pari passo con i successi con il Parma, arrivano le grandi soddisfazioni in azzurro. Poi vari trasferimenti, dal Parma all'Inter, e dall'Inter alla Juventus (2004).
Vince due titoli europei Under 21 con l'Italia di Cesare Maldini (1994 e 1996) ed approda alla Nazionale maggiore il 22 gennaio 1997 in Italia-Irlanda del Nord (2-0). Con la maglia azzurra è protagonista dai Mondiali di Francia 1998, degli sfortunati Europei del 2000, dei discussi Mondiali di Tokio del 2002, e degli Europei 2004 in cui è lui a indossare la fascia del capitano.
Grande beniamino dei tifosi, è amato per il suo carattere leale ma al tempo stesso combattivo. Tutte caratteristiche che lo fanno assomigliare ad un moderno guerriero, capace di lottare arditamente ma anche di commuovere con la sua semplicità. Proprio grazie a queste qualità che lo rendono estremamente affidabile, Fabio Cannavaro è stato anche scelto come testimonial per alcuni spot televisivi.
Il suo successo più importante è senza ombra di dubbio il trionfo ai mondiali di Germania 2006: Fabio Cannavaro per tutta la manifestazione si è dimostrato grande guerriero, guidando una difesa di ferro che ha portato alla vittoria della coppa del mondo. Capitano indiscusso, è stato lui ad avere il privilegio di alzare in cielo il prestigioso trofeo.
Passa poi dalla Juventus al Real Madrid di Fabio Capello. Pochi mesi più tardi, alla fine di novembre, riceve il prestigioso Pallone d'Oro, riconoscimento annuale raramente assegnato a un difensore.
Gianfranco Zola, calciatore fuoriclasse, fantasista come pochi altri il calcio italiano ha potuto contare, nasce il 5 luglio 1966 a Oliena, piccola cittadina in provincia di Nuoro. Muove i primi calci nel Corrasi, la squadra del suo paese, di cui il padre Ignazio, per un certo periodo è presidente. Nel 1984 gioca nella Nuorese e si delinea già un futuro professionistico per Gianfranco.
Nel 1986 viene ingaggiato da un'altra squadra sarda, la Torres di Sassari: vince nel 1987 il campionato di C2, segnando 8 gol in 30 partite. Dopo tre anni di militanza alla Torres, approda in serie A, nel Napoli delle meraviglie. Per Gianfranco giocare e allenarsi con Diego Armando Maradona è un'opportunità incredibile, ma allo stesso tempo una responsabilità scomoda: è lui infatti il giocatore chiamato in caso di necessità a sostituire il grande Diego ricoprendo in campo il suo stesso ruolo.
Al suo primo anno al Napoli la squadra vince il campionato italiano: anche Zola, sebbene sia una riserva, fornisce il suo contributo allo scudetto segnando due gol. Pian piano, con il dovuto tempo, la figura e le doti di Gianfranco Zola emergono. Il sardo si fa notare, in campo è rapido, coraggioso e pieno di iniziativa. Lo stesso Maradona, prima di lasciare il Napoli gli affida simbolicamente la maglia numero 10, riconoscendo in Zola un degno erede. Oltre all'ispirazione di Maradona, del quale Zola osserva e studia in particolar modo la tecnica dei calci di punizione, assorbe quanto più possibile da altri grandi campioni quali Careca, Fonseca, Ciro Ferrara e Alemao.
Nei suoi quattro anni a Napoli, Gianfranco Zola segna 32 gol in 105 partite. Nel 1991 con la squadra partenopea vince la Super Coppa di Lega italiana e viene convocato in Nazionale dal C.T. Arrigo Sacchi.
Per il campionato italiano 1993-94 viene ingaggiato dal Parma. Con la squadra emiliana, sotto la guida dell'allenatore Nevio Scala, gioca due brillanti stagioni: Zola è la seconda punta più forte del calcio italiano. Segna moltissimi gol al fianco di Asprilla. Il Parma gioca la finale di Coppa delle Coppe, persa con l'Arsenal, e l'anno dopo gioca la Coppa Uefa vincendola contro la Juventus. Poi secondo posto in campionato e finale di Coppa Italia.
Le difficoltà a Parma iniziano con l'acquisto del fuoriclasse Stoitchkov: l'integrazione in campo, per questione di ruoli, è difficile. Poi a Nevio Scala subentra Carlo Ancelotti, che si trova a dover impiegare tre punte, Gianfranco Zola, Enrico Chiesa e Hernan Crespo.
Nel 1994 vola negli USA con la nazionale. Nella partita contro la Nigeria, Arrigo Sacchi fa entrare Zola nel secondo tempo: dopo pochi minuti dal suo ingresso (al 75' di gioco) viene espulso. Le immagini dimostreranno oggettivamente l'errore di giudizio arbitrale. Per Gianfranco, giocatore di esemplare correttezza e fairplay, nonchè uomo di animo nobile e gentile, è un'ingiustizia grandissima, come per tutto il pubblico italiano che segue l'evento.
Le delusioni con la maglia azzurra non finiscono, perchè agli europei del 1996 contro la Germania, Gianfranco sbaglia un rigore.
Il sardo si sente stretto a Parma; stanco dello stress e affamato di nuove esperienze, nel novembre del 1996 Zola vola in Inghilterra, ingaggiato dal Chelsea, di Gianluca Vialli. Con la squadra britannica disputa due ottimi campionati, vincendo la Coppa d'Inghilterra, la Coppa di Lega Inglese e la Coppa delle Coppe. Poi da prova di grande carattere segnando il gol dell'incontro Italia - Inghilterra, il 12 febbraio 1997 a Wembley: per l'occasione viene proclamato "Uomo del Match".
Amato profondamente dal pubblico inglese anche per il suo carattere mite e cortese, Gianfranco militerà nel Chelsea per cinue stagioni. Zola è eletto "Miglior Giocatore dell'Anno" inglese nel 1997, ma per i mondiali di Francia 1998 non viene convocato: è un colpo tremendo.
Con il Chelsea continuano i buoni risultati: la Supercoppa europea nel 1998, la Charity Shield nel 2000. I tifosi dei Blues lo chiamano "Magic Box" (scatola magica), per le giocate che riesce a tirar fuori nei momenti più impensati e nei modi più incredibili. Zola è un idolo per gli inglesi: viene eletto miglior giocatore della storia del Chelsea. Oltre al suo talento indiscusso ci sono anche il suo carattere, il suo esempio, la sua immagine positiva a motivare la nomina di Gianfranco Zola a "Membro onorario dell'Impero britannico": nel 2004 la regina Elisabetta II gli conferisce la prestigiosa onorificenza proprio per i suoi cinque anni nel calcio inglese e la nobiltà di intenti dimostrata.
L'anno successivo rientra in Italia, passando dai fasti inglesi alla serie B italiana. Gioca nella sua terra, per due anni con il Cagliari. Il primo anno la missione è quella di riportare in serie A la squadra della sua Sardegna, e per il secondo di fargli compiere un salto di qualità. Vince il Pallone d'Argento 2005, premio indetto dall'Ussi e dedicato al giocatore che nel campionato si è distinto per il suo fair play, poi è tedoforo in Sardegna per la fiaccola olimpica dei Giochi di Torino 2006 nel viaggio per le regioni d'Italia.
A 39 anni, di cui 16 passati a correre dietro al pallone, con una moglie, 3 figli, un palmares di tutto rispetto, numerosi attestati di stima che fanno di Gianfranco Zola uno straordinario uomo e atleta, il 29 giugno 2005 il mago appende la bacchetta al chiodo e annuncia il suo ritiro dal calcio agonistico.
Nel luglio del 2006, a 40 anni, diventa consulente tecnico della Nazionale Under-21 allenata da Pierluigi Casiraghi, suo ex compagno di squadra sia in Nazionale che nel Chelsea. Zola lavora sul campo con i giocatori, contribuendo alla loro crescita tecnica.
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